500 mila follower o un milione di visualizzazioni mensili: scatta l'obbligo di iscrizione degli influencer all'Elenco Pubblico AGCOM
- Paolo Fortina
- 1 giorno fa
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Il 23 luglio 2025 l’AGCOM ha approvato la Delibera 197/25/CONS, cioè il momento in cui il mondo degli influencer è stato ufficialmente promosso – o retrocesso, a seconda dei punti di vista – a fenomeno giuridico. Non è più solo moda, visibilità o collaborazione commerciale: è materia regolata. E chi non se n’è accorto, presto se ne accorgerà con una PEC.

Chi è “rilevante” secondo AGCOM
Da oggi, non basta avere un cellulare e un pubblico distratto per definirsi influencer. Servono numeri, e numeri seri: 500.000 follower su almeno una piattaforma, oppure 1.000.000 di visualizzazioni medie al mese, calcolate sugli ultimi sei mesi.
Superata una di queste soglie, scatta la trasformazione: da semplice creatore di contenuti a fornitore di servizi di media audiovisivi ai sensi del TUSMA.
Tradotto: sei soggetto alla vigilanza AGCOM, alle regole di trasparenza pubblicitaria, alla tutela dei minori, al rispetto della dignità delle persone e – soprattutto – alle sanzioni.
Un elenco pubblico, come l’albo dei professionisti
Gli influencer “rilevanti” dovranno iscriversi in un Elenco pubblico AGCOM, dichiarando generalità, piattaforme e metriche. Non è un social premium, è una forma di accountability.
Senza quell’iscrizione, non si è “non rilevanti”: si è inadempienti.
L’Autorità potrà comunque considerarli nel proprio radar, come ogni soggetto che diffonda contenuti con impatto di massa.
La logica è la stessa che vale per chi esercita una professione regolamentata: se influenzi il comportamento economico, psicologico o culturale di centinaia di migliaia di persone, non sei più un passante digitale. Sei un operatore di media, e devi rispettarne le regole.
Autopromozione, sì, ma non autoassoluzione
Il Codice AGCOM distingue la pubblicità commerciale dall’autopromozione.
Un influencer può non segnalare come “adv” solo i contenuti in cui promuove opere proprie o prodotti con marchio coincidente con il suo nome.
Tutto il resto, anche se “collaborazione senza compenso”, va segnalato. Perché non conta quanto guadagni, ma come influenzi.
Chi pensa di aggirare la norma perché “non prendo soldi, mi hanno solo regalato la crema”, scoprirà presto che l’AGCOM non valuta le sponsorizzazioni in barattoli, ma in effetti sul consumatore.
Minori, IA e filtri di troppo
Un altro pilastro è la tutela dei minori: vietato pubblicare contenuti che possano nuocere al loro sviluppo o proporre modelli fisici e sociali distorti, specie quando si usano filtri estetici o intelligenza artificiale. Gli “influencer virtuali” – creature digitali con sembianze umane – rientrano pienamente nella regolazione e devono dichiarare la propria natura artificiale. In sintesi: il filtro Bellezza non è più una scappatoia giuridica.
L’effetto collaterale: la professionalizzazione forzata
Molti gridano all’invasione del diritto. In realtà, questa è una normalizzazione inevitabile. Il mercato dell’influencer marketing in Italia vale oltre 350 milioni di euro l’anno: era impensabile che restasse zona franca. Chi vive di visibilità ora dovrà convivere anche con compliance, PEC, moduli e codici. Il che, per chi ambisce alla credibilità, non è una condanna, ma una promozione. Per gli altri, una doccia fredda.
Cosa cambia per brand e agenzie
Il vero impatto si sposterà a monte: sui contratti.
Le aziende dovranno verificare che gli influencer siano iscritti all’elenco AGCOM, aggiornare le clausole di trasparenza, inserire obblighi di conformità al Codice di condotta e, soprattutto, prevedere penali e manleve in caso di violazioni.
Chi gestisce campagne dovrà sapere che “#ad” non è più un optional: è una dichiarazione di legalità.




