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Immagine del redattoreFederica Giardini

Coronavirus: storia di un contagio informativo

Aggiornamento: 28 feb 2020



Coronavirus: da qualche giorno a questa parte non si (stra)parla d'altro. Succede sotto casa, tra i pochi coraggiosi che hanno avuto il coraggio di uscire, succede nel gruppo di WhatsApp con parenti o colleghi (a proposito, anche voi avete ricevuto l’audio del medico tal dei tali che voleva avvertire - ma non creiamo allarmismi - tutti quanti circa la diffusione del contagio?), e soprattutto se ne parla sui social, dove la disinformazione è all'ordine del giorno e le bacheche strabordano di post, meme, articoli, notizie e così via, in cui ognuno vuole dire la sua o semplicemente riportare, magari anche senza veramente sapere, quanto ha sentito raccontare dall'amico o dal cugino dell’amico.


Ma dalla diffusione della notizia relativa al primo caso di Coronavirus accertato nel Lodigiano come siamo arrivati a litigare per avere l’ultimo barattolo di sugo davanti allo scaffale – ormai già vuoto – di un supermercato?


Il passo è stato tanto rapido quanto catastrofico. Questo perché la quantità, ma soprattutto la qualità, delle informazioni che le persone hanno iniziato a condividere su questo tema hanno dato origine a un vero e proprio caso di epidemia social. Ma qual è stato il meccanismo di innesco?


Probabilmente stiamo assistendo al risultato di un mix fatale dato da due fattori principali.


Il primo è strettamente umano e ha a che fare con la paura personale, dettata in questo caso da un’iniziale mancanza di dati certi e sicuri (ma tantissime dicerie incerte e allarmanti) relativi alla diffusione del virus. In assenza di certezze è subentrata una forma subdola di terrore che è diventata virale in pochissimo tempo facendo testa al “si salvi chi può”.


Il secondo è legato alla natura intrinseca dei social media stessi. Viviamo in un’era in cui Facebook, Instagram, Twitter, WhatsApp e così via hanno permeato praticamente ormai ogni aspetto delle nostre vite, in cui ogni cosa viene comunicata o condivisa in tempo zero. Dal canto loro, i mezzi digitali grazie al loro costante aggiornamento svolgono un ruolo cruciale nell'informazione, tanto che le persone sono ormai abituate a leggere, condividere e diffondere notizie con i propri amici, fan e follower proprio attraverso i propri profili social.



E anche nel caso del Coronavirus le persone hanno iniziato a utilizzare i social con due finalità: da una parte ricercare informazioni e dall'altra condividere le proprie paure. A ogni social, poi, corrisponde una specializzazione diversa all'interno del fenomeno generato. Ecco che, ad esempio, su Facebook e YouTube hanno iniziato a circolare video a carattere informativo e di cronaca che hanno raggiunto picchi di visualizzazioni in poche ore. Twitter invece ha raccolto per lo più tweet a sfondo dibattito, con botta e risposta sulla tematica. Ma proprio per questo fenomeno di divulgazione informativa tramite i social media ormai appurato, non ci deve stupire più di tanto se anche nel caso del Coronavirus le notizie abbiano iniziato a diffondersi a macchia d’olio. Certo è che la situazione sembra essere sfuggita di mano un po’ a tutti quanti.


Sono di qualche giorno fa le parole di Marianna Sala, la presidentessa del Comitato regionale per la Comunicazione lombardo:

“In questi giorni siamo bombardati da un numero incontrollato di informazioni contraddittorie. Si va dai suggerimenti sulle misure preventive sino a quelli sulle prime cure, dalla svalutazione degli effetti del virus alla loro amplificazione in grado di creare l’effetto “panico” e indurre le persone a svuotare gli scaffali dei supermercati. Si tratta di vere e proprie fake news, estremamente insidiose in quanto verosimili e capaci di seminare confusione tra i cittadini”.

Tra i tanti messaggi diffusi, quindi, prevalgono quelli di terrorismo psicologico. Quelli che creano più confusione sono proprio i suggerimenti circa le misure preventive da prendere, le modalità di cura messe in atto dai medici o ancora gli effetti del virus stesso. Perché? Semplicemente perché non hanno (quasi mai) una base veritiera e, quindi, non fanno altro che spingere l’italiano medio a farsi prendere dal panico. Da lì il passo a indossare mascherina, guanti e correre a svuotare interi scaffali dei supermercati, accaparrandosi l’ultimo pacco di pasta come per prepararsi a un’Odissea, è stato veramente immediato.




In questo scenario una parte rilevante l’ha avuta WhatsApp. Come accennavamo all'inizio dell’articolo, siamo sicuri che anche voi avrete ricevuto almeno uno dei tanti audio che stanno girando. Sarà stato condiviso con tanto di “me lo ha mandato la mia vicina, facciamolo girare!” e vi sarete ritrovati a sentire il consiglio di un medico o di un’infermiera su quanto il contagio fosse più o meno grave. Forse non vi stupirà più di tanto sapere che di queste tracce audio che girano, una buona percentuale siano risultate bufale. Ebbene no, non esisteva nessuna sorella dell’infermiera di turno all'ospedale, così come non c’è stato nessun messaggio da parte del medico del reparto specializzato.


Ad accompagnare e alimentare la psicosi via WhatsApp, poi, si sono aggiunte le tante foto di supermercati presi d’assalto, di città semi deserte e mezzi di trasporto come scene di un videogioco per dare prova di quanto il virus abbia pseudo paralizzato le nostre vite.


Ma se il caos è dilagato in pochissimo tempo, creando un effetto catena incontrollato, è altrettanto giusto spezzare una lancia a buon favore e dire che i social si stanno anche dimostrando un potente mezzo per diffondere un po’ di sicurezza, facendo emergere informazioni corrette con lo scopo di ridurre le conseguenze negative dell’infezione.


A tal proposito, la stessa Oms – Organizzazione Mondiale della Sanità – si è impegnata in un percorso di stretta collaborazione con le principali case dei media tradizionali e dei social media, tra cui Google e Facebook, per ottenere un obiettivo molto preciso: contrastare le fake news diffuse senza controllo e sfatare tutti i falsi miti che generano solo panico, garantendo così agli utenti la possibilità di trovare e accedere a dati veritieri, affidabili e promuovendo una corretta informazione.


Concludiamo riportando qualche piccolo e semplice consiglio. E per farlo, ci appoggiamo a niente di meno che l’invito promosso dal CORECOM per contrastare questo contagio informativo. In fondo, basta attenersi a qualche regola di base che, ad alcuni del settore potrà anche sembrare banale, ma che a quanto pare è necessario ricordare.


  1. Prima di condividere, verificare. Quando si condivide una notizia su un proprio profilo social o la si inoltra attraverso chat apposite, è opportuno prestare molta attenzione. A volte, infatti, nella fretta di condividere o fidandosi di chi ha inviato un contenuto, si possono diffondere anche notizie false che potrebbero scatenare uno spiacevole effetto domino, creando una diffusione capillare di panico e confusione tra amici e amici dei nostri amici.

  2. Prima di condividere, verificare in particolare la fonte, l’indirizzo della pagina, così come l’autore stesso e la sua attendibilità.

  3. Infine, se non siete esperti dell’argomento, meglio trattenersi dal condividere qualcosa. In fin dei conti i social permettono una comunicazione in tempo reale, è vero, ma non sempre è necessario che diciate la vostra.


Visto che non tutto il social vien per nuocere, se avete letto fino a qui vi meritate una gallery con alcuni dei meme più belli che abbiamo raccolto in questi giorni. Buona visione!






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